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martedì 29 maggio 2012

[Recensione] Stones grow her name - Sonata Arctica

la copertina è semplicemente un'opera d'arte
STONES GROW HER NAME
L'ho atteso così a lungo questo nuovo lavoro dei Sonata Arctica che ho comprato i biglietti per il concerto di Roma del 30 Luglio praticamente "al buio". Metto le mani avanti e dico che, sinceramente, non è il capolavoro che mi aspettavo, il seguito di The Days of Grays, il mio album preferito della band. Diciamo subito che mancano quelle tastiere e quella batteria con doppio pedale che tanto mi aspettavo di ritrovare (mi sogno la notte la intro di The Last Amazing Grace ancora oggi). Diciamo che mancano i veri e propri "racconti": qui ci troviamo di fronte a canzoni che non superano i 5 minuti, con ritornelli ben costruiti ma ripetuti ad oltranza. Però, tutto sommato, non è così malaccio. Certo, credo ci si sarebbe potuto lavorare (molto) di più, ma, da fan dei Sonata, non riesco a non farmelo piacere. Commento Track by Track? Eccovi accontentati.
(Prima di iniziare, sappiate che ho scritto recensione e blablabla solo per apparire primo tra i motori di ricerca; non è una vera e propria recensione, ma un mio commento personale all'album. Se volete recensioni serie fatte da professionisti e robe così, internet ne è pieno. Però la mia ha anche alcune parti divertenti. Ya, leggetevela, è figa).

Only the Broken Hearts (Make you Beautiful)
Cominciamo col botto? Cominciamo col botto. A mani basse, per me, questa può essere tra le migliori canzoni dell'album. Buona intro, bella potenza e ritornello che ti entra in testa facilmente. Però, mi sarei aspettato qualcosa di più dal testo ma, vabbè, è solo una intro ad un album, va bene così. Purtroppo, gia qui si evidenzia quello che per me è il vero grande difetto di quest'album: il ritornello ripetuto fino allo stremo per milioni di volte che, sinceramente, dopo un po' stanca. E vabbè, resta comunque un ottimo pezzo e la frase "I'll have my rainy day, thank you for all the pain" mi resterà dentro per sempre, per tutta una serie di motivi miei personali. Segnalo la seconda strofa, dove ritorna la voce di Tony Kakko sullo stile di "The Days of Grays". Ma quanto lo adoro?

Shitload of Money
Il commento sarà molto breve e conciso: "meh".
No, sul serio, non riesco a farmela piacere. Stavolta non è il ritornello ad essere ripetuto fino allo snervamento, ma solo la frase "shitload of money". Il ritornello, comunque, mi piace. Il resto non mi convince (personalmente traduco il titolo nei modi più disparati; evito di suggerirveli).

Losing my Insanity
Vecchio pezzo rispolverato da Kakko e scritto qualche anno fa per un altro tizio di cui non ho voglia/tempo di informarmi più di tanto. Musicalmente è uno spettacolo, si ricollega benissimo a metà strada tra "The Days of Grays" ed "il resto" (vedi gli assoli di tastiera molto old school Sonata). Bella bella e bella, ritornello trascinante (e ripetuto allo stremo ancora e ancora e ancora) e con un testo che si discosta di molto dallo standard dei sonata: la prima strofa in special modo sembra estratta da un qualsiasi testo dei Nightwish.

Somewhere Close to You
Oddio oddio oddio, finalmente ritornano in pieno le atmosfere di "The Days of Grays" e dei suoi tappeti di doppio pedale, con la sola aggiunta di una chitarra ultradistorta che domina la canzone. Peccato la parte strumentale non sia nulla di eccezionale, anzi. Il testo sembra parlare dell'ennesima ragazza che Tony ha amato e, per un motivo o per un altro, lei ha lasciato lui. Nessuna strofa epica o altro da segnalare, vabbè.

I Have a Right
Mi pare sia il primo singolo dell'album e, sicuramente, è quello che maggiormente rimane più impresso dopo il primo ascolto, complice melodie immediate e decisamente più pop rispetto alle altre tracce di Stones Grow Her Name. Si porta dietro, essenzialmente, tutti i difetti visti fin'ora, tra cui spicca l'odiosa tendenza di ripetere ad oltranza il ritornello. E basta, è stancante dopo un po'. Davvero. Comunque, dovrebbe essere una canzone dedicata alla figura paterna e alla ricerca di protezione in essa. O, almeno, così l'ho interpretata io. Bel testo, anche questo lontano dallo stile classico dei Sonata.

Alone in Heaven
Diciamo che da qui comincia la seconda parte dell'album. Non chiedetemi perché, è così e basta. E si migliora, tantissimo. Lasciamo stare per un attimo che la canzone parli di amicizia, così possiamo fare finta che un'altra fantastica ragazza abbia segnato la vita sentimentale di Tony Kakko e che ne sia uscita bruscamente, dando perciò al finlandese la forza di scrivere un altro capolavoro. In effetti tra i migliori pezzi dei Sonata parlano di ragazze senza cuore, che scappano via di casa per fare foto di nudo artistico, per inseguire quello che le mette incinte e se ne scappa o semplicemente decidono di correre dietro ad un batterista capellone. Beh, qui parla di amicizia ma, come ho detto prima, facciamo finta di niente.
Quanto è bella questa canzone? Quanto sono belle le parole? Quanto è bello il cantato delle strofe? Quanto cazzo è bello il doppio pedale utilizzato in questo modo?

The Day
E qui me la prendo con più calma. Parto diretto dicendo che per me è la migliore traccia dell'album e che, con un po' di lavoro in più, sarebbe potuta essere annoverata tra i capolavori immortali della band finlandese. L'inizio è tra i migliori mai composti dal gruppo, dove chitarra e batteria fungono da comparse ed aiutano le tastiere, vere protagoniste, a sviluppare una melodia meravigliosa e sublime ma, purtroppo, eccessivamente breve e che non verrà più ripresa nel resto del brano. Un vero peccato, praticamente la ascolterei per ore questa breve introduzione, che tanto mi porta alla mente le colonne sonore dei videogame della serie Project Touhou.
Finita questa parte, inizia il canto di Tony Kakko che, fortunatamente, riprende nuovamente le linee melodiche di The Days of Grays. Il testo parla, neppur troppo cripticamente, dello tsunami che qualche tempo fa colpì il Giappone, descrivendolo dal punto di vista di un uomo che ha perso tutto: la casa, i figli e la donna amata. Di enorme potenza emotiva il verso "Wake up the children for school for the last time". Musicalmente è un ottimo brano, forse l'unico dove la consueta ripetizione del ritornello non dà fastidio, anzi, evidenza ancora di più il senso di rassegnazione e disperazione del protagonista. Lo ripeto, migliore canzone e testo dell'album intero, ma poteva essere resa incredibilmente un capolavoro riprendendo quella melodia iniziale, così bruscamente, improvvisamente e misteriosamente interrotta.
Che lo tsunami si sia abbattuto anche su di lei, cancellandola per sempre? Mi piace pensare che sia successo così.

Cinderblox
E vabbè, i Sonata volevano sperimentare e ci rifilano questa "country rock song" dalle atmosfere molto da far west e impregnate di forte spirito yankee. Al primo ascolto si rimane spaesati, urlando bestemmie contro il cielo. Al secondo rimane sul vostro volto un'espressione alla "meh". Al terzo, forse, inizierà a piacervi. Tutto sommato non è male ed è forse, insieme a Shitload of Money, quella che in versione live potrebbe cambiare completamente. Resta comunque uno dei ritornelli più energici dell'album, in puro stile Sonata Arctica.

Don't be Mean
Traccia estremamente emozionante, ma anonima.
Si, non riesco a dilungarmi più di tanto. Seriamente, è fin TROPPO anonima, ma godibile.


Wildfire, Part II - One with the Mountain
Il momento che aspettavo di più di questo album: la seconda e la terza parte di Wildfire, mitica canzone di quell'ultimo album dei "vecchi Sonata" che fu Reckoning Night, prima della svolta di Unia.
Una intro così me la sognerò la notte. Poi quel misterioso e lugubre "hello" e la musica che si spegne pian piano. Entrano chitarra e batteria, violente e minacciose. Ecco che inizia Wildfire part II.
Il testo si configura come naturale seguito degli eventi, dopo l'incendio della montagna ad opera della Famiglia, l'uccisione dei suoi abitanti ed il dissidio interiore del protagonista così diverso dalla sua Famiglia, ma legato ad essa dalla nascita, un peccato imperdonabile per la gente della montagna di Wildfire. Musicalmente ho apprezzato tantissimo la ripresa di alcune parti vocali di Wildfire, mentre la parte centrale "love is the infinite power..." mi sembra presa ed attaccata lì, senza alcun motivo, un semplice "taglia - incolla" tra le righe dello spartito.

Wildfire, Part III - Wildfire Town, Population: 0
Boom, terza ed ultima parte. Lasciamo stare la intro dolce e pacata della seconda, qua si parte direttamente a tutta potenza, vocale, sonora e testuale. La canzone più dark di tutto l'album, con un testo che, almeno personalmente, risulta abbastanza criptico e votato a più interpretazioni. Peccato che al primo ascolto deluda leggermente.

Tonight I Dance Alone
Non ci lasciamo mancare nulla, ecco a voi la bonus track dell'album. Come si può facilmente intuire dal titolo, non si parla di guerra, distruzione o di gioco d'azzardo, ma d'amore, nella forma triste e malinconia a cui Tony Kakko ci ha abitutato. Ecco, per me è una delle migliori canzoni dell'album, quella che più si appresta ad essere arrangiata in acustico o a far compagnia a orde di cuori spezzati in cerca di conforto. Sublime.

1 commento:

  1. Questa recensione sembra essere scritta da una ragazzina di 15 anni...... TDOG non è che sia quel grandissimo album..... SGHN, è 1000 volte meglio.

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